Onorevoli Colleghi! - È ormai da tempo oggetto di dibattito in sede politica e in ambito giuridico il tema relativo a una coerente opera di revisione costituzionale volta ad aggiornare la parte seconda della Carta con riferimento ai profili ordinamentali.
      L'esigenza, avvertita fin dai decenni passati, venne colta e affrontata dal Parlamento con l'istituzione delle Commissioni bicamerali per le riforme costituzionali che, a partire dalla Commissione Bozzi, attraversando la Commissione Iotti-De Mita, per finire alla Commissione D'Alema, svilupparono una importante mole di lavoro sul piano dell'accumulazione documentale e della prospettazione delle ipotesi di riforma, senza, tuttavia, riuscire a determinare un plausibile percorso riformatore sostenuto, come prescrive la stessa Costituzione, dalle ampie maggioranze e dalle procedure previste dall'articolo 138.
      Del resto appare di tutta evidenza l'inadeguatezza «politica» dello strumento predisposto dall'articolo 138 per una revisione costituzionale che non sia di mera e limitata correzione dell'impianto attuale: gli stessi Costituenti immaginarono infatti l'inserimento dell'articolo 138 non certamente quale strumento utile a ridisegnare l'ordinamento dello Stato. La questione, allora, è oggi la seguente: siamo di fronte a un'ipotesi di impegno riformatore limitato

 

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a un modesto maquillage costituzionale che non revochi in dubbio l'intima coerenza dell'impianto, oppure si rende necessaria una revisione più ampia, tale da modificare in modo sensibile la filosofia dell'ordinamento dello Stato?
      La mia opinione è sicuramente orientata a sostenere le ragioni della seconda opzione. Con l'avvento dei grandi (e incompiuti) processi di riforma dei sistemi elettorali intervenuti anche sulle spinte referendarie all'inizio degli anni '90, si è modificata in modo profondo la logica che animava l'intero assetto costituzionale.
      Come è stato autorevolmente osservato, infatti, la logica proporzionalista che ha intriso l'intero impianto costituzionale (giova ricordare, infatti, che solo per ragioni di opportunità politica si ritenne di non rendere esplicita la costituzionalizzazione del principio proporzionalista secondo la proposta Mortati che venne, tuttavia, recepita dalla Costituzione come ordine del giorno), al punto da rappresentare il fulcro dell'equilibrio tra pesi e contrappesi su cui poggia la Repubblica, collide oggi con il principio maggioritario che scaturisce dalle riforme elettorali degli anni '90.
      Né appare immaginabile, peraltro, che un Parlamento eletto con un sistema maggioritario, dunque volto a privilegiare le ragioni della «governabilità» a scapito di quelle della rappresentanza, possa intraprendere il percorso di un'ampia riforma costituzionale che implica una riflessione radicale sull'ordinamento (bicameralismo o monocameralismo, contenuto del federalismo, elezione diretta del Premier, assetto dell'ordine giudiziario, diritto all'informazione, eccetera), senza dare voce all'articolato pluralismo della politica e delle culture presenti nel Paese.
      La Costituzione è la regola cui si obbligano tutti i cittadini: la regola che supera la dimensione della politica partigiana per assumere un valore più alto e proiettato nel tempo.
      È necessario allora che un'Assemblea dotata di poteri costituenti, il cui compito precipuo è quello di definire un nuovo assetto generale del «patto» tra governanti e governati, si avvalga, nella fase della selezione dei suoi componenti, del pieno concorso di tutte le istanze politiche, economiche e sociali presenti nel Paese. Ciò, in particolare, al fine di garantire che la nuova forma di Stato e la nuova forma di Governo vengano determinate - sotto ogni profilo - nel segno del più alto concorso democratico, e dunque attraverso l'azione di un soggetto istituzionale che sia la proiezione più «fedele» possibile della composizione del tessuto sociale e produttivo del Paese.
      Per quanto riguarda, dunque, il sistema elettorale da adottare in vista della costituzione dell'Assemblea, l'articolo 2 della presente proposta di legge costituzionale prevede l'applicazione del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, che ha disciplinato le modalità per l'elezione dell'Assemblea costituente prevedendo l'attribuzione dei seggi tra liste concorrenti con il sistema dei quozienti interi e dei più altri resti (così optando per un sistema elettorale chiaramente proporzionale). In proposito, il medesimo articolo 2 attribuisce al Governo il compito di provvedere agli interventi normativi necessari, da un lato, per adeguare le norme del citato decreto legislativo luogotenenziale al numero dei membri dell'Assemblea e alla rappresentanza minima prevista per ciascuna regione (in relazione, ad esempio, alla determinazione delle circoscrizioni elettorali); dall'altro, per coordinarne il disposto con le norme vigenti per l'elezione dei due rami del Parlamento nazionale, con particolare riguardo alle materie dell'elettorato attivo e passivo, del procedimento elettorale preparatorio e dello svolgimento delle operazioni di voto.
      Particolare rilievo assumono poi taluni profili connessi al procedimento previsto per la promulgazione e per l'entrata in vigore del testo di riforma costituzionale approvato dall'Assemblea a maggioranza assoluta dei propri membri. L'articolo 7 della presente proposta di legge costituzionale prevede infatti che il testo approvato sia sottoposto a referendum popolare entro tre mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Tale
 

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referendum si caratterizza per la sua non riconducibilità agli affini istituti di democrazia diretta previsti nel nostro vigente sistema costituzionale, non esplicando infatti - come è evidente - effetti abrogativi, né rivestendo natura consultiva. Il contenuto proprio del referendum previsto dall'articolo 7 appare piuttosto caratterizzarsi quale approvazione ovvero reiezione tout court del testo deliberato dall'Assemblea, in ciò palesandosi semmai prossimo all'istituto previsto all'articolo 138, terzo comma, della Costituzione. Tuttavia, vale sottolineare come lo svolgimento di quest'ultimo sia disciplinato in termini meramente eventuali (essendo attivabile solo ove ne facciano specifica richiesta i soggetti previsti dalla norma medesima) e possa addirittura non avere luogo (ove le Assemblee parlamentari approvino il testo con la maggioranza dei due terzi dei componenti); il referendum di cui è invece previsto l'intervento ai sensi del citato articolo 7 è finalizzato ad accrescere il grado della qualità democratica sottostante alla riforma del sistema istituzionale contenuta nella «decisione costituente», dovendo ad esso procedersi comunque, a prescindere dalla presentazione di specifiche richieste in tale senso e senza che maggioranze comunque qualificate possano valere a imperdirne lo svolgimento.
      Sul punto della piena partecipazione popolare al processo costituente appare, infine, assai significativo rimarcare la previsione della possibile presentazione di un testo di minoranza, diverso da quello approvato a maggioranza assoluta, da parte di un quarto dei membri del consesso costituente. Ove ciò avvenga, è previsto che il referendum si effettui su entrambi i testi in alternativa tra loro, con la rilevante conseguenza del possibile sovvertimento delle determinazioni dall'Assemblea ad opera di un difforme avviso espresso direttamente dal corpo elettorale.
 

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